Reviews

Quali saranno i protagonisti della Notte degli Oscars 2020? Ecco le reviews dei film della oscar race

#NeverRarelySometimesAlways (Tango Entertainment, BBC Films, Mutressa Movies, Pastel Productions)

Never Rarely Sometimes Always di Eliza Hittman, vincitore dello Special Jury Award all’ultimo Sundance Film Festival, offre uno sguardo sincero e viscerale sul tema assai discusso in America dell’accesso all’aborto. Il dramma personale della protagonista diventa simbolo di una intera generazione di giovani donne costrette a crescere troppo in fretta. Sulle sue spalle, sulla sua pelle, nei suoi occhi Autumn interpretata dalla rivelazione Sidney Flanigan, porta il peso di una gravidanza inaspettata, affrontata alternando momenti di ceca incoscenza ad istanti in cui l’assenza materna controbilancia il suo senso di responsabilità. Autumn è determinata nella sua scelta, per quanto sia dolorosa e imbarazzante. Pensa che il vero egoismo sia mettere al mondo un figlio che non si ha il tempo di accudire. Non prova rimorso e nè tanto meno vuole prendersi del tempo per riflettere. La burocrazia ha i suoi tempi, e nell’attesa di completare la pratica dell’aborto c’è in gioco il suo futuro di donna nel mondo. Quello che è interessante è la rapidità con cui Autumn passa da adolescente insicura a donna consapevole. Il tutto nell’arco di due giorni, nel lento ma coinvolgente viaggio dalla sua piccola cittadina della Pennsylvania alla cosmopolita New York.

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Tigertail (Netflix)

#AlanYang (conosciuto ai più per la sua fama di produttore di serie tv di successo tra cui Master of None e Parks and Recreation) racconta con la sua opera prima dal titolo #Tigertail (disponibile ora su #Netflix) il viaggio altalenante di un immigrato, sospeso in un mosaico di ricordi in cui il desiderio di riscatto cerca un equilibrio tra arrivi e partenze. Un’eterna e costante sensazione di vivere ai margini lo spinge a cambiare il suo destino, ma nella corsa resta l’amarezza che chi sopravvive al dolore ne porta sempre i suoi segni. In questo scenario la pellicola invita a guardare il passato con una visione di insieme nella quale ogni momento non è mai fine a se stesso ma necessario per conquistare fiducia nelle proprie speranze. Così nel suo viaggio della memoria, il protagonista sembra voler fare un patto con i suoi ricordi: quello che ha perso diventa un monito per quello che ora non riesce ad apprezzare. Le ingiusitizie sociali, l’indifferenza, la sconfitta, la perdita gli hanno insegnato il valore del sacrificio, ma ora tutto ciò da cui è sopravissuto sembra essersi insediato nella sua testa, quasi come se non riuscisse ad emarginare la sua sofferenza.

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The Invisible Man (Universal Pictures)

L’apprezzato #TheInvisibleMan di #LeighWhannell (disponibile ora su #Chili) si serve degli stilemi dell‘horror e del mistery per esplorare il tema della paura, intesa come forza invisibile e brutale che può controllare le nostre scelte. Ragion per cui il merito di questa pellicola è sicuramente quello di aver inserito l’angoscia della protagonista in un contesto realistico di abusi domestici per poi dirottarla verso le dinamiche del thriller in cui le cicatrici psicologiche sono più dolorose degli ematomi sulla pelle. Partendo dal presupposto che oggi giorno è difficile trovare una pellicola che sia capace di spaventare, perchè ormai siamo talmente assuefatti all’orrore derivante dai terribili errori della società contemporanea, che abbiamo come sviluppato degli anticorpi alla paura, The Invisible Man prova a valicare questa cortina attraverso una storia che attinge dal reale per sconfinare nella più immaginifica delle perversioni: la manipolazione del destino altrui.

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Lost Girls (Netflix)

#LostGirls: la documentarista #LizGarbus (nominata 2 volte agli Oscar) trasforma un thriller investigativo in una autopsia emotiva in cui rabbia e vendetta diventano le uniche certezze perchè restano nell’orbita di quello che umanamente si può accettare. In questo scenario una vivida #AmyRyan (conosciuta ai più per la sua interpretazione nel film di Ben Affleck, Gone Baby Gone) interpreta una donna che rovescia nella sua indagine tutte le sue delusioni cercando di esorcizzare la straziante angoscia della perdita. Il suo messaggio emotivo sta tutto nel suo spinoso e controverso senso di giustizia su #Netflix.

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C’era una volta a…. Hollywood (Sony/Columbia)

Con #ceraunavoltaahollywood Quentin Tarantino autore di numerosi cult movie eleva il citazionismo a genere cinematografico: ogni riferimento non è mai fine a sè stesso ma consente di tratteggiare il contesto della Hollywood che fu. Sullo sfondo ombre e controfigure, maschere e apparizioni, detriti e derivati di uno star system capace di trasformare perfetti sconosciuti in star e di liquidare con la stessa velocità una mole di personaggi dimenticati, distanziati come in un limbo artistico in attesa di un giorno migliore. Per raccontare questa parabola amara e malinconica, ma anche dissacrante e ironica innalza l’intrattenimento a forma d’arte scegliendo un caleidoscopio di generi, perchè solo in questo modo si possono raccontare le naturali contraddizioni dello showbusiness, perennemente in bilico, capace di rendere ogni cosa facilmente evaporabile.

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Il successo passa, ma le vite, quelle vere restano, perchè è una complicata relazione quella tra un attore e la sua fama. In questo scenario i tremendi fatti legati alla setta di Manson con la loro tragica e disumana portata coincidono con il declino dell’età d’oro di Hollywood. Il confine tra finzione e realtà è ancora più sottile: la paura prende il posto della speranza, la violenza diventa necessaria al cinema trasformandosi in un’esigenza della cultura popolare. Così negli anni 70′ la facciata patinata di Hollywood si sgrana e il mondo non vuole più trovare rifugio nel cinema, ma vuole trasformare i film in armi per difendersi dalla generale ondata di odio e violenza. Una lettera d’amore al cinema piena di ironia ma anche di tenera nostalgia per quell’innocenza perduta che nessuno sarà in grado di donarci.

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The Irishman (Netflix)

Con The Irishman il maestro Martin Scorsese diventa meno indulgente con i suoi protagonisti che da sempre violano la legge per motivazioni personali. In questo modo sceglie una strada intermedia, a metà tra una narrazione di ascesa (Quei bravi ragazzi) e di caduta (The wolf of Wall Street), sposta la sua attenzione sulle implicazioni della violenza e sulla loro responsabilità: il danno che provoca, la colpa che la genera. Su questa lunghezza d’onda a differenza dei suoi precedenti gangster movie, The Irishman, pur rappresentando il miglior compendio dei suoi drammi criminali, resta ancorato ad una necessaria etica. In tal senso ci dice che la legge, la giustizia, può essere anche ingiusta e parziale, frammentaria e mai uguale, ma non potrà mai vincere sulla coscienza.

Marriage Story film

Marriage Story (Netflix)

Marriage Story è un colpo al cuore che mette a dura prova l’amore vissuto nella sua quotidiana familiarità. All’interno di questo recinto può diventare doloroso come un livido sotto pelle.La voglia di salvarlo sfida il desiderio di frenarlo nella sua straziante resa. I due coniugi (i meravigliosi Adam Driver e Scarlett Johansson favoriti per la nomination all’Oscar) con le loro attese e intenzioni scandiscono il tempo emotivo del conflitto, tra lacrime e cicatrici, tra incomprensioni e convinzioni. Il regista Noah Baumbach, definito il Bergman newyorchese, pone la sua attenzione sul fallimento della coppia: l’amore è quello che si costruisce mettendo insieme i frammenti di ciò che poteva essere. Nel cast si fanno notare le interpretazioni dei supporter Laura Dern e Alan Alda.

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Le Mans 66′ – La grande sfida (20th Century Fox)

Non bisogna essere appassionati di corse per apprezzare l’ultimo lavoro di James Mangold. Qui la sfida non è tra due talenti come in Rush di Ron Howard, ma è tra l’uomo e la sua ambizione. Così in una narrazione che ha qualcosa di retrò nella sua ricostruzione temporale, fatta di immagini spettacolari che hanno il potere di esaltare il sogno rendendo sorprendente l’impresa, va in scena un dramma fatto di opportunità e aspirazioni, in cui il desiderio di riscatto funge da carburante per rendere possibile l’impensabile, laddove l’unico traguardo raggiungibile sta nel superare i comuni limiti.

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Parasite (Neon)

E’ innegabile che Parasite di Bong Joon – ho sia un capolavoro capace di affascinare e coinvolgere non solo il critico più arguto ma anche il semplice spettatore, complice il suo potere emotivo ma soprattutto la sua astuzia narrativa con cui rende magnetico ogni frame. Inizialmente siamo assuefatti da come manipola i generi. Ogni scena sembra avere un peso e una dimensione che rimanda a varie atmosfere: dalla commedia alla satira sociale. In questa ricerca di uno stile che definisca il tema, finiamo per non renderci conto di quello che sta succedendo. In questo modo il regista ci spinge naturalmente verso un’unica direzione, omettendo volutamente il nostro ruolo nella vicenda narrata: diventiamo senza saperlo complici. Quell’abisso insormontabile che separa il mondo dei poveri da quello dei ricchi ora emerge in superficie, ora si confonde, ora livella speranze e delusioni. In questo scenario la struttura della casa dove si snoda la vicenda suggerisce il suo intento narrativo: mostrare con una grande abilità registica la crudeltà che si cela dietro ad ogni minima disuguaglianza.

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Joker (Warner Bros. Pictures)

Vincitore del #Leonedoro all’ultimo Festival di Venezia, #Joker di Todd Phillips è un studio vivido sul personaggio, intepretato magistralmente da #JoaquinPhoenix. Una risata da vita ad una postura, un ghigno definisce uno spazio, uno sguardo rende tangibili le sue intenzioni. La crudele spregiudicatezza del villain di Batman trova la sua umanizzazione, il suo lato oscuro affonda le radici in una quotidianità derragliata. Joker è innanzitutto un uomo che viene schiacciato dalla sempre più diffusa ondata di cattiveria che come un seme velenoso sta contagiando le nostre comunità. Un racconto incendiario nel quale la follia è una conseguenza, e mai una scelta. Il male non può avere giustificazioni, ma l’indifferenza e la discriminazione a lungo andare squarciano il singolo dall’interno trasformandolo in una miccia pronta ad esplodere #alcinema

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The King (Netflix)

In The King il tentativo del regista David Michod in collaborazione con il suo co-sceneggiatore l’attore Egerton (che nel film interpreta il ruolo del saggio Falstaff) ha un merito: quello di rendere contemporaneo Shakespeare al punto da appassionare le nuove generazioni con uno script che pur nella su a classicità propone delle soluzioni linguistiche nuove mirate ad intercettare motivazioni e spinte emotive dal carattere universale. In questo quadro il giovane Enrico V (interpretato dal talentuoso Thimoteè Chalamet) subisce il contrappasso di un principe, costretto ad ereditare la corona e a governare un popolo e una corte che ha fame di conquista. Il suo desiderio di tregua si scontra con le logiche imperialiste, laddove ogni desiderio di pace non può essere un atto di fede, ma deve essere sancito da una vittoria in battaglia anche se questa non è necessaria. Così il conflitto si fa più autentico e stimolante fino alla famosa battaglia di Agincourt resa magnificamente tra scenari fangosi e numerose comparse capaci di rendere epico il momento storico. Merito della sua fotografia capace di offrire una profondità di colori che ricorda la pittura di Bruegel.

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The Truth – La Verité (France 3 Cinema)

Con #leverita del regista nipponico Hirokazu Kore-eda (vincitore lo scorso anno della Palma d’Oro a Cannes con il film Un affare di famiglia) veniamo catapultati in un piccolo dramma teatrale dove i confronti e i conflitti sono necessari, perchè consentono di intercettare il filo della matassa nella quale restano ingarbugliati anni familiari colmi di omissioni e falsi sorrisi. In questo modo il regista da il meglio di sè nell’esplorare i limiti della memoria che diventa nel tempo non più una certezza a cui aggrapparsi, ma qualcosa di volubile e malleabile capace di acquisire qualsiasi forma come la terracotta. Il potenziale melò viene stemperato da un fine e sottile umorismo che aiuta a rendere la “verità” del titolo la somma di piccoli momenti, a volte divertenti, a volte malinconici in un’altalena di emozioni che ricorda la vita nel suo imprevedibile divenire. Al suo “servizio” un cast di attori famosi per il suo primo film in lingua inglese basato su una piece teatrale mai realizzata che egli scrisse 15 anni fa: una donna #juliettebinoche ritorna in Francia dopo aver letto la controversa autobiografia di sua madre, una famosa attrice che non ha mai accettato la fine della sua carriera #catherinedeneuve #thetruth

Frozen 2

Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle (Disney)

Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle affronta con una nuova e sorprendente maturità il tema del cambiamento ma soprattutto la necessità di separarci da alcune certezze nell’ottica di un Bene ancora più grande seppur al momento irraggiungibile. A differenza quindi del primo capitolo si scava più a fondo, perchè forse il suo pubblico intanto è cresciuto. La materia è incandescente soprattutto per i più piccoli che però possono percepirne la gravità filtrata dai numeri musicali (in questo capitolo un po’ troppi ma necessari). La potenza visiva delle immagini capaci di fondere dettagli realistici a suggestioni fantastiche instilla nello spettatore la sensazione di essere di fronte a qualcosa di più grande di noi laddove la morte e il sacrificio sono passaggi necessari per una piena accettazione della vita in tutte le sue sfumature. E vissero Felici e contenti si, ma non per sempre. Così in una narrazione binaria del Bene e del Male che si identifica come nei lungometraggi dello Studio Ghibli nell’equilibrio tra umanità e natura, non bisogna mai lasciarsi scoraggiare dai cambiamenti se diamo sempre ascolto alla nostra vocazione. Tutto è destinato a finire, a sciogliersi e a rigenerarsi,  solo l’Amore è permanente.

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