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Anteprima dei film più attesi della prossima stagione cinematografica

BLACK BEAR (dir. Lawrence Michael Levine)

#BlackBear di Lawrence Michael Levine presentato con successo al Sundance Film Festival ha lasciato tutti senza parole per il suo sguardo inedito e corrosivo. Al centro di questa suggestiva esperienza emotiva c’è una coppia che decide di ospitare nella propria casa sul lago, sperduta tra le montagne di Adirondack, una regista in cerca di ispirazione. Quello che inizialmente affascina è l’approccio, dato che all’inizio il dramma è volutamente sfuggente, cercando a tutti i costi di distanziarsi da una possibile collocazione di senso, che poi diventa retroattiva nel momento in cui realizziamo il fine della sua prospettiva.

Black Bear — Still 1

Ecco allora che tra desiderio e manipolazione va in scena una nuova forma d’arte che non è solo uno sguardo metatestuale sulle lotte dei cineasti indipendenti ma è qualcosa di più profondo e che ci coinvolge tutti. Improvvisamente le dinamiche della coppia diventano agli occhi della regista un’opera d’arte. La meditazione derivante da alcuni passaggi significativi lascia il posto alla decostruzione giocosa non solo del processo cinematografico indipendente ma anche sulla vita che imita l’arte con riferimenti non solo ad Altman ma anche a David Mamet.

L’eccesso di alcol con i suoi saliscendi di verità e aggressività fa pensare per un attimo agli scontri della giovane coppia di Chi ha paura di Virginia Woolf di Edward Albee, ma è solo un attimo, questa spontaneità vivida ha uno scopo ben preciso: stuzzicare lo spettatore in modo che possa compiersi completamente la sua aspirazione e cioè quella di inclinare i confini solitamente posti tra racconto autobiografico e accettazione romanzata. La domanda non è se è tutto vero, ma quanto ci piacerebbe che lo fosse? O meglio: la ricerca della verità non come fine ma come mezzo di esplorazione sui nostri limiti e sui nostri desideri, che è infondo alla base della ricerca sperimentale dei registi indipendenti.

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KAJILLIONAIRE (dir.Miranda July)

#Kajillionaire di Miranda July è stata una delle pellicole più discusse dell’ultimo Sundance Film Festival per lo stile del suo script capace di affrontare tematiche significative come il potere contagioso dell’Amore in grado di trasformare vizi in virtù in un contesto del tutto fuori controllo, in cui l’eterna fuga dei protagonisti, una gang di truffatori a conduzione familiare, coincide con l’evidente aspirazione registica di sfuggire da qualsiasi genere decodificato. A tal proposito nella parte iniziale del film si insiste su una certa anti-caratterizzazione dei personaggi con lo scopo di sospendere alcun giudizio da parte del pubblico, e dunque con l’obiettivo di presentare queste umanità nelle loro bizzarre stranezze per quello che sono realmente. Ragion per cui senza filtri appaiono felici nella loro disperata stranezza.

Kajillionaire Previews

La forza della pellicola sta nella sua capacità di combinare irrivirenza ed empatia, e dunque trasformando ciò che sembrava qualcosa di tragico e irreparabile in un’occasione di speranza e di riscatto. Con queste premesse accattivanti Kallijionaire si pone come un vero e proprio incantesimo nella poliedrica produzione filmica della July che ancora una volta dimostra di essere all’altezza della situazione nel riuscire a trasformare la realtà che ci circonda in un terreno fertile per chi crede ancora nel cambiamento. Su questa lunghezza d’onda è da recuperare il suo film più famoso: Io e te e tutti quelli che conosciamo (2005). Sicuramente uno degli aspetti più interessanti è legato alla scelta del cast capeggiato da teste di serie come i candidati agli Oscar Debra Winger e Richard Jenkins, e supportati dall’enfant prodige Evan Rachel Wood e dalla star televisiva di Jane The Virgin, Gina Rodriguez.

Kajillionaire Previews Miranda July

Quello che ha maggiormente colpito la critica è il modo con cui la July ha tentato di ritrarre le complesse dinamiche familiari di questa banda di truffatori, mostrando che la ricchezza tanto agognata viene poi compensata da qualcosa di più prezioso e duraturo, come l’Amore nei legami di sangue. A supportare questo rassicurante epilogo ci pensano una serie di colpi di scena “cosmici” che danno l’idea ma soprattutto la dimensione di quello che dobbiamo aspettarci dalla vita nonostante le quotidiane delusioni offerte del Caso.

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SUBLET (dir. Eytan Fox)

Presentato sulla piattaforma digitale del Tribeca Film Festival, #Sublet di Eytan Fox ha colpito tutti per la sensibilità con cui ha affontato il tema della senilità omosessuale. Il regista isrealiano, conosciuto ai più per il dramma lgbt Yossi & Jagger ma anche per il bellissimo Camminando sull’acqua, ha lasciato, secondo i critici americani, letteralmente il segno per l’approccio utilizzato nel raccontare il risveglio emotivo di un uomo di mezza età che si trova in bilico tra cio che gli resta e tra ciò che si è lasciato scappare di mano, dopo un evento tragico che ha destabilizzato le sue certezze. Uno script quindi concentato sul momento riflessivo di quest’uomo che cerca nel suo metabolismo interiore una spinta per riscattare la sua apatia, determinata da una serie di scelte fatte per consuetudine più che per amore.

Sublet 3

A rendere interessante la caratterizzazione del personaggio principale (interpretato da John Benjamin Hickey) è la sua professione, uno scrittore di viaggi del New York Times, la cui rubrica mira a scoprire quali siano i punti salienti della città da visitare in soli 5 giorni. Di conseguenza siamo di fronte ad un uomo che per lavoro deve cercare a tutti i costi di sintetizzare le sue esperienze e le sue emozioni. Una tendenza alla semplificazione che si traduce nella sua vita nella necessità di fare scelte immediate con lo scopo di evitare conflitti e contrasti.Il film è ambientato a Tel Aviv, una città che viene mostrata nella sua dinamica vitalità, caotica, intensa, ricca di contraddizioni che riflettono alla perfezione il suo altalenante stato d’animo che lo porta per la prima volta nella sua vita a farsi delle domande di cui non conosce la risposta.

Sublet

A rendere appassionante il suo soggiorno è l’incontro chiave con un giovane israeliano (intepretato da Niv Nissim) che vive la sua vita con meno freni e costrizioni, e di conseguenza diventa oggetto di curiosità e di attrazione da parte del protagonista. Sarà lui infatti a mostargli un intinerario alternativo con lo scopo di mostrargli la vera anima della città. Una metafora meravigliosa sulla necessità di guardare la vita sempre con una prospettiva diversa, soprattutto nei momenti più difficili. In quest’ottica in Sublet l’introspezione dell’età che avanza dona quella saggezza necessaria per contrastare la malinconia del tempo che resta.

Sublet poster

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vivarium

VIVARIUM (dir.Lorcan Finnegan)

#Vivarium di Lorcan Finnegan, disponibile nel Regno Unito questa settimana su piattaforme digitali, è una piccola parabola sull’inadeguatezza che si cela dietro la facciata della perfezione ad ogni costo. Al centro della trama Gemma (Imogen Poots) un’insegnante di scuola elementare che, con il suo compagno tuttofare Tom (Jesse Eisenberg), è alla ricerca di un posto dove vivere. Abbagliati dal rigore architettonico del complesso di case di Yonder Estate decidono di trasferirsi, per poi scoprire che nulla è come sembra tra pensieri oscuri e colpi di scena. I due protagonisti apportano ai loro personaggi un naturalismo e una credibilità che contrastano in modo ancora più netto con l’artificio in cui devono vivere in un labirinto soffocante di case che ripetono in serie il male di vivere.

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