A Cannes, il 16 maggio scorso, la proiezione di Eddington è stata accolta da una standing ovation di 7 minuti. Joaquin Phoenix – visibilmente commosso – ha lasciato la sala in lacrime. Una scena che sembra già un fotogramma del film stesso, un’opera che spacca la platea esattamente come i suoi personaggi spaccano una piccola cittadina americana nel bel mezzo della pandemia. Dopo l’uscita negli Stati Uniti, il 18 luglio, Eddington è diventato uno dei film più chiacchierati (e discussi) dell’anno.
Ari Aster, regista noto per Hereditary e Midsommar, abbandona l’horror in senso stretto per addentrarsi nei territori del western politico. E lo fa con uno stile che non lascia scampo: o si odia o si ama.

Una cittadina chiamata Eddington
Maggio 2020. Eddington, New Mexico. Mentre l’America reale affrontava proteste razziali, lockdown e negazionismo sanitario, Ari Aster costruisce un microcosmo dove tutto questo esplode in modo grottesco, a tratti tragico, a tratti farsesco.
Lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix), simbolo dell’individualismo armato, rifiuta ogni tipo di misura anti-COVID. Il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal), invece, tenta di salvare la comunità con mascherine e chiusure. In mezzo, una cittadinanza sfiduciata, la costruzione di un server farm promossa come salvezza economica, e una tensione crescente che sfocia in paranoia, deliri cospirazionisti, e silenzi che urlano più dei dialoghi.
Il risultato è un film che sembra meno interessato alla narrazione classica e più alla rappresentazione di uno stato mentale collettivo.

Phoenix vs Pascal: due Americhe a confronto
Ari Aster non racconta la pandemia, ma ciò che la pandemia ha fatto emergere: fratture già esistenti nella società americana. Joaquin Phoenix dà vita a un personaggio che è insieme inquietante, tenero, e tragicamente coerente nella sua ribellione. Pedro Pascal incarna l’altro polo: pacato, razionale, ma non meno inquieto.
Accanto a loro, Austin Butler (un teorico del complotto che trasmette in streaming dalla sua roulotte), Emma Stone (la moglie di Joe, presenza quasi spettrale), e un coro di cittadini spaesati, sempre sul punto di implodere.
La forza del film è tutta qui: nella scelta di affidare a Phoenix e Pascal la rappresentazione di due Americhe incompatibili, entrambe credibili, entrambe fallibili.

La critica si spacca. E il pubblico anche
Negli Stati Uniti, la reazione al film è stata intensa e divisiva. The New Yorker lo definisce “una satira autocompiaciuta e letale” sulla pandemia. The Guardian parla di “un western tedioso e claustrofobico”. Al contrario, Variety e Deadline ne lodano il coraggio, la profondità politica e l’inquietudine latente.
Rotten Tomatoes lo attesta al 67% di recensioni positive, mentre il punteggio Metacritic (65/100) fotografa bene il clima: né successo né flop, ma qualcosa che costringe chi guarda a posizionarsi.
Il pubblico è altrettanto diviso. Alcuni escono dalla sala arrabbiati (“non si capisce dove voglia andare a parare”), altri entusiasti (“era ora che qualcuno raccontasse la pandemia senza ipocrisie”). Aster, intanto, ha dichiarato: “Non volevo fare un film contro o a favore di qualcosa. Volevo fare un film su come ci siamo guardati in faccia in quel periodo. E su quanto ci siamo piaciuti – o no”.

Mascherine, silenzi e paranoie: un film che non vuole piacere a tutti
Con una fotografia firmata da Darius Khondji – cupa, polverosa, come soffocata – e una colonna sonora firmata da Bobby Krlic e Daniel Pemberton che mescola rumori ambientali e accenni apocalittici, Eddington costruisce un’atmosfera quasi intossicata.
Il film non segue una trama convenzionale. Preferisce muoversi in cerchi, come se ogni scena fosse una variazione sul tema dell’incomunicabilità. Non ci sono eroi, solo persone piene di convinzioni e paure.
Curiosamente, le location reali non vengono mai nominate: Aster vuole che Eddington sia ovunque. Un luogo reale e simbolico al tempo stesso. Uno specchio.

Riflessioni finali: un esperimento sociale sotto forma di cinema
Eddington non è un film comodo. Non è nemmeno sempre riuscito. Ma è uno di quei rari casi in cui il cinema riesce a interrogare chi guarda. Dove eravamo nel 2020? Cosa ci ha spaventato davvero? Quali verità abbiamo deciso di ignorare?
Ari Aster, con questo film, sembra suggerire che la pandemia non sia stata solo un evento sanitario, ma un gigantesco test di resistenza emotiva e ideologica. E Eddington ne è il diario allucinato, imperfetto, disturbante.
Non un film da amare. Ma, forse, un film da non dimenticare.

