Uscito nelle sale statunitensi a inizio luglio, 40 Acres è uno di quei film che, pur muovendosi nel genere thriller post-apocalittico, scava in profondità nelle radici culturali e storiche dell’America. Diretto da R.T. Thorne, qui al suo debutto cinematografico dopo una lunga carriera tra serie TV e videoclip, il film ha fatto parlare di sé già dallo scorso settembre, quando fu presentato in anteprima al Toronto International Film Festival. Da allora è passato per numerosi festival nordamericani (San Francisco, Cleveland, Dallas), raccogliendo consensi critici crescenti.
Il titolo stesso è una dichiarazione d’intenti: “40 Acres” fa riferimento alla promessa mai mantenuta del governo statunitense di offrire “40 acri e un mulo” agli ex schiavi liberati dopo la guerra civile. Un’eredità negata che qui diventa il cuore simbolico e fisico di una lotta per la sopravvivenza.

La trama: sopravvivere su una terra sacra
Il film è ambientato in un futuro prossimo devastato da una pandemia fungina che ha cancellato gran parte della fauna terrestre, distruggendo gli ecosistemi e innescando guerre civili per la sopravvivenza. In questo contesto, una famiglia guidata da Hailey Freeman (Danielle Deadwyler) vive rintanata in una fattoria isolata, difesa con recinzioni elettriche e addestramento militare quotidiano. È terra ereditaria, tramandata di generazione in generazione, conquistata con fatica da discendenti di afroamericani e nativi, ed è oggi il loro unico rifugio.
Ma l’equilibrio è precario. Emanuel, il figlio adolescente, vuole abbandonare la rigidità imposta dalla madre per esplorare il mondo esterno. Una scelta che scatena un conflitto familiare profondo e una serie di eventi che porteranno il pericolo — umano e disumano — proprio dentro casa.

Critica entusiasta, pubblico diviso
40 Acres è stato accolto con grande entusiasmo dalla critica americana. Su Rotten Tomatoes ha raggiunto un solido 91% di recensioni positive, mentre su Metacritic ha ottenuto un rispettabile 75/100. I maggiori quotidiani statunitensi — dal San Francisco Chronicle al Houston Chronicle — ne hanno elogiato l’intensità emotiva e la messa in scena sobria ma d’impatto. In particolare, è stata lodata la regia di Thorne, capace di costruire un’atmosfera tesa e realistica senza indulgere negli stereotipi del genere.
Tutt’altra la reazione del pubblico, almeno quello generalista: su Metacritic il punteggio utenti è piuttosto basso, con una media di 4.0/10. Molti spettatori hanno trovato il ritmo lento e la trama prevedibile, mentre altri hanno apprezzato la profondità dei personaggi e la riflessione politica sottesa alla storia. È uno di quei casi in cui la critica sembra aver colto molto più del pubblico medio, forse per via dei numerosi strati tematici che il film propone.

Danielle Deadwyler: la forza al centro del film
Tra gli elementi più apprezzati c’è senza dubbio la performance di Danielle Deadwyler. La sua Hailey è una madre guerriera, ma anche una donna ferita, impegnata a tenere unita la sua famiglia in un mondo che sembra non offrire più alcuna possibilità. Secondo The Guardian, Deadwyler “guida il cuore del film con una determinazione feroce e commovente”, incarnando perfettamente il dilemma tra controllo e amore, rigidità e protezione.
Il rapporto tra Hailey ed Emanuel (Kataem O’Connor) è forse la vera anima del film. Non è solo una dinamica familiare, ma lo specchio di un conflitto intergenerazionale su come affrontare l’eredità di un passato di oppressione e la paura di un futuro incerto.

Visione d’autore e tensione visiva
R.T. Thorne dimostra una sensibilità visiva che tradisce le sue origini nel mondo del videoclip: le sequenze sono curate, i colori terrosi e cupi comunicano la desolazione del paesaggio, e la tensione è gestita con mano sicura. Alcune scene sono già state definite “indimenticabili” da chi le ha viste, come l’arrivo dei predoni cannibali, che indossano resti umani come trofei. Una scelta disturbante ma coerente con il clima di brutalità e sopravvivenza che permea tutto il racconto.
Nonostante il film sia in gran parte ambientato in un’unica location, la regia riesce a mantenere un forte senso di dinamismo, soprattutto nei momenti d’azione e nei dialoghi carichi di significato.

Un’opera che parla al presente attraverso la finzione
40 Acres è molto più di un film di genere. È una riflessione sulla terra, sull’eredità culturale, sulla paura di perdere ciò che si è costruito — o conquistato — a caro prezzo. In un momento storico in cui la questione dell’identità afroamericana e indigena è sempre più centrale nel discorso pubblico statunitense, il film arriva con un tempismo significativo.
Non è un film per tutti, forse. Ma è un film necessario, e il fatto che venga oggi distribuito a livello nazionale (e presto anche in streaming su MGM+) dimostra che c’è voglia di raccontare storie nuove, complesse, che parlano al cuore e alla coscienza.
In attesa dell’uscita italiana
Nonostante l’interesse generato anche nel nostro Paese con l’anteprima al Milano Film Festival, 40 Acres non ha ancora una data di uscita ufficiale nelle sale italiane, né è stato annunciato su piattaforme di streaming nazionali. In un contesto in cui sempre più opere indipendenti faticano a trovare spazio nei circuiti tradizionali, resta da capire se il film arriverà in Italia tramite distribuzione cinematografica o verrà reso disponibile direttamente online.

