Negli ultimi anni, il cinema turco ha vissuto un’evoluzione profonda, ampliando i suoi orizzonti tematici, linguistici e produttivi. Se fino a qualche decennio fa era percepito quasi esclusivamente come espressione regionale, oggi la Turchia è sempre più presente nei circuiti internazionali, in particolare nel mondo del cinema d’autore e nei festival più prestigiosi.
Un esempio emblematico di questa nuova fase è One of Those Days When Hemme Dies (O Günlerden Bir Gün M Günleri), l’opera prima di Murat Filadoğlu, scelta per rappresentare il cinema turco ai prossimi Oscar. L’opera rispecchia una sensibilità sociale condivisa da molti cineasti turchi contemporanei.
Una nuova generazione di registi
Negli ultimi due decenni, la scena turca ha visto l’emergere di autori capaci di ridefinire la grammatica del racconto cinematografico nazionale. Accanto a figure ormai consolidate come Nuri Bilge Ceylan, Palma d’Oro a Cannes 2014 con Il regno d’inverno – Winter Sleep, un dramma psicologico ambientato nelle steppe anatoliche, che indaga i rapporti umani, le colpe e le illusioni morali attraverso dialoghi intensi e paesaggi spogli, sono emersi nomi come Emin Alper, Zeki Demirkubuz, Reha Erdem e Yeşim Ustaoğlu.

Il primo conosciuto ai più non solo per la pellicola Frenzy, un thriller politico distopico ambientato in una Istanbul militarizzata, ma anche per Burning Days, un legal drama rurale che riflette sulla corruzione e sull’omertà. Il secondo è noto per i suoi film esistenziali ispirati a Dostoevskij, come Innocence e The Confession. Il terzo fonde elementi fantastici e allegorici, come in Times and Winds), mentre la quarta, regista e sceneggiatrice affronta tematiche legate all’identità e al trauma, come in Pandora’s Box e Clair Obscur.

Filadoğlu, in questo contesto, si inserisce come un autore che dialoga sia con la tradizione del cinema d’autore turco, sia con le inquietudini formali del cinema indipendente internazionale.
Temi ricorrenti: memoria, isolamento, fratture sociali
Il cinema turco contemporaneo si distingue per la capacità di mettere in scena una società complessa, segnata da forti tensioni identitarie: tra città e campagna, modernità e tradizione, laicismo e religiosità, libertà individuale e controllo politico. I registi si confrontano spesso con un senso diffuso di disillusione, solitudine e ricerca di senso.

In One of Those Days When Hemme Dies, questo si riflette nella costruzione di un mondo chiuso, quasi claustrofobico, in cui il protagonista attraversa giornate sempre uguali, apparentemente insignificanti ma cariche di non detto. Il tempo circolare, l’ironia surreale, l’uso del silenzio e la staticità della messa in scena sono strumenti che molti registi turchi hanno adottato per raccontare una realtà che si rivela attraverso le crepe più che attraverso l’azione.
Box office e dimensione commerciale
Accanto alla forza creativa del cinema d’autore, la Turchia ha sviluppato un panorama cinematografico fortemente duale, dove alla sperimentazione si affianca una produzione commerciale popolare, capace di dominare il botteghino nazionale. Il franchise comico Recep İvedik, avviato nel 2008, è il caso più emblematico: film dal tono populista e ironico, con un protagonista rozzo ma carismatico, che si muove tra gag slapstick e satira sociale, e che ha registrato numeri record di spettatori in patria.

Tra i titoli di maggiore successo degli ultimi anni, spicca Bergen (2022), biopic incentrato sulla tragica figura della cantante arabesque Bergen, simbolo della violenza patriarcale. Il film — diretto da Caner Alper e Mehmet Binay — unisce melodramma, musica e denuncia sociale, ed è riuscito a intercettare un pubblico trasversale anche al di fuori della Turchia. Ha incassato oltre 160 milioni di lire turche nel mercato domestico ed è diventato anche il film turco di maggior successo all’estero, soprattutto nei paesi del Golfo, dove ha totalizzato centinaia di migliaia di spettatori.
L’interesse internazionale e i premi
Il cinema turco ha conquistato, specie negli ultimi 15 anni, una posizione solida nel panorama dei Festival internazionali: oltre alla già citata Palma d’Oro a Il regno d’inverno, si possono ricordare il Leone d’Argento a Venezia per Beyond the Hill di Emin Alper, un thriller psicologico ambientato in una regione montuosa della Turchia, dove paranoia e violenza tribale si intrecciano in una riflessione sulle radici dell’autoritarismo. Diversi altri titoli turchi sono stati selezionati a Berlino, Locarno e San Sebastián.

Sebbene il cinema turco abbia attirato l’attenzione della critica americana non ha mai ottenuto una nomination all’Oscar nella categoria Miglior film internazionale. Ha sfiorato solo una vola la candidatura: nel 2008 con il film Three Monkeys di Nuri Bilge Ceylan che fu selezionato nella short list dei semifinalisti. Un dettaglio emblematico del rapporto ancora parziale e problematico tra cinema turco e Academy Awards, che lascia spazio a riflessioni più ampie sull’accessibilità e la ricezione delle cinematografie non anglofone nel mercato statunitense.
Al di fuori dei premi, però, l’interesse internazionale è tangibile: film e registi turchi sono sempre più presenti in retrospettive, rassegne, piattaforme e istituzioni cinematografiche globali, segno di una crescente attenzione verso le produzioni anatoliche come fonte di innovazione artistica.
Tra cinema indipendente e nuove produzioni
Accanto al cinema d’autore, si sta sviluppando anche una scena indipendente urbana e sperimentale, alimentata da collettivi, artisti visivi e registi ibridi che fondono linguaggi digitali, videoarte e documentario. A Istanbul, Izmir e Ankara si tengono festival alternativi, spesso boicottati o ostacolati dalle istituzioni, ma fondamentali per il ricambio generazionale. In parallelo, il settore della produzione si è espanso anche sul versante commerciale, con serie TV e film di genere che trovano grande diffusione in Medio Oriente, nei Balcani e in Sud America. Questo dualismo tra cinema d’autore e prodotto commerciale crea un panorama variegato, ma ancora fragile dal punto di vista dell’infrastruttura industriale e delle libertà creative.
Cinema Turco: pellicole che raccontano le contraddizioni del presente
Il cinema turco contemporaneo è uno specchio efficace di un paese in tensione. Non offre risposte semplici, ma domande complesse, incarnate in personaggi spesso marginali, inquieti o spaesati. Registi come Murat Filadoğlu rappresentano l’evoluzione di questa ricerca, aprendo nuove strade linguistiche e poetiche, capaci di dialogare con lo spettatore globale senza rinunciare alla specificità culturale.

In un’epoca in cui il cinema tende all’omologazione, l’esperienza turca dimostra che esplorare l’identità nazionale attraverso l’occhio della cinepresa può ancora produrre opere necessarie, perturbanti e universali.


